Dai teli per pacciamatura biodegradabili ai prodotti fitosanitari di origine vegetale, fino alle nuove applicazioni delle bioplastiche in campo: la bioeconomia agricola non è più una prospettiva futura, ma una realtà operativa. È quanto emerso dal convegno “Dall’agricoltura all’agricoltura: soluzioni di bioeconomia per un’agricoltura sostenibile”, svoltosi nell’ambito dell’ultima edizione di Ecomondo, a cura del Comitato tecnico scientifico Ecomondo & Coldiretti, Novamont e Re Soil Foundation.
L’incontro ha riunito mondo della ricerca, imprese, filiere produttive e agricoltori per fare il punto su soluzioni già disponibili e testate in campo, capaci di coniugare produttività, tutela del suolo e riduzione degli input.
Prodotti che nascono da biomasse e tornano al suolo
Ad aprire i lavori sono stati i presidenti di sessione Michele Falce (Novamont) e Roberto Mazzei (Coldiretti). Falce ha inquadrato il tema sottolineando come la bioeconomia agricola rappresenti un cambio di paradigma: «Parliamo di prodotti nati da biomasse vegetali che, al termine del loro utilizzo, ritornano al suolo arricchendolo. Sono soluzioni già testate in campo, con filiere presenti oggi, che dimostrano come questi materiali possano migliorare le performance agronomiche».
Tra gli esempi più consolidati figurano i teli per pacciamatura biodegradabili in suolo, conformi alla norma EN 17033, oggi riconosciuti dal Regolamento Ue sui prodotti fertilizzanti come ammendanti. Accanto a questi, nuove applicazioni delle bioplastiche riguardano clip, spaghi, tutori e tree shelter, oltre ai formulati fitosanitari a base di acido pelargonico, alternative di origine vegetale ai prodotti convenzionali.
Quadro normativo ed effetti sul suolo
Il tema degli impatti sul suolo è stato approfondito da Claudio Marzadori, professore ordinario all’Università di Bologna, che ha illustrato il quadro normativo europeo e i risultati di numerosi studi scientifici.
«Il grande vantaggio per l’agricoltore è non dover rimuovere il telo a fine ciclo: il materiale può essere interrato, dove viene biodegradato dai microrganismi del suolo», ha spiegato.
Dal punto di vista agronomico e biologico, l’interesse è legato al ruolo delle bioplastiche come fonte di carbonio:
«Le evidenze scientifiche mostrano che effetti significativi sui parametri chimici e biologici del suolo si osservano solo con dosi estremamente elevate, fino a mille volte superiori a quelle realisticamente impiegate in agricoltura. Alle dosi reali, non emergono differenze rispetto ai terreni non trattati».
Il caso del pomodoro da industria: meno acqua e fertilizzanti
Uno dei contributi più rilevanti è arrivato da Domenico Ronga (Università di Salerno), che ha presentato i risultati di quattro anni di sperimentazione sul pomodoro da industria con teli biodegradabili, integrati con la semina diretta.
«Non vogliamo sostituire il trapianto, ma offrire un’opportunità in più agli agricoltori», ha chiarito.
I risultati sono significativi: a parità di resa – circa 70 t/ha – la semina diretta su pacciamatura biodegradabile ha consentito un risparmio del 48% di acqua e del 23% di azoto, con riduzioni anche di fosforo e potassio.
«Le piante seminate sviluppano un apparato radicale più profondo e robusto, con benefici in termini di efficienza nell’uso delle risorse», ha aggiunto Ronga, evidenziando anche il mantenimento della qualità del prodotto.
Notizie dal campo su anguria, asparago ed erbe aromatiche
Dal mondo produttivo sono arrivati riscontri concreti. Sandro Colombi, dell’Azienda Agricola Bologna Miriam, utilizza teli biodegradabili dal 2008 su anguria e asparago:
«Li abbiamo scelti per eliminare il problema dello smaltimento, ridurre la manodopera e abbassare i costi. In una zona con problemi di salinità, il risparmio idrico è diventato strategico. Non torneremo mai più indietro».
Anche Massimiliano Minotti (Agribologna) ha illustrato le prove su erbe aromatiche:
«I bioteli ci aiutano a contenere le infestanti, ridurre acqua e concimi e mantenere le piante più sane, soprattutto contro gli attacchi fungini».
Risultati positivi sono emersi sia nei cicli brevi sia, con alcune differenze, nelle colture pluriennali.
Tecnologie e meccanizzazione: la semina su pacciamatura
L’innovazione passa anche dalle macchine. Alberto Forigo (Forigo Roter Italia) ha presentato sistemi per la semina diretta su pacciamatura biodegradabile:
«Negli ultimi anni abbiamo sviluppato tecnologie dedicate, anche 100% elettriche, che consentono di operare con precisione, riducendo al minimo il terreno scoperto e garantendo fino a 3–4 ettari lavorati al giorno».
Fitosanitari di origine vegetale: nocciolo e tabacco
Ampio spazio è stato dedicato ai prodotti a base di acido pelargonico. Felix Niedermayr (Loacker) ha raccontato l’esperienza sul nocciolo: «Cercavamo una soluzione naturale per la spollonatura, compatibile con un protocollo di filiera sostenibile. Dopo tre anni di prove, siamo riusciti a fornire indicazioni operative ai nostri produttori».
Analoghi risultati sono stati presentati da Alberto Mantovanelli (OPIT) per il tabacco:
«Avere un input che riduce la manodopera e garantisce un’equivalenza tecnica rispetto ai trattamenti convenzionali è fondamentale per accompagnare i tabacchicoltori verso soluzioni più sostenibili».
Bioplastiche oltre i teli: clip, tutori e tree shelter
Beatrice Saglio, tecnologa applicativa di Novamont, ha ricordato come ogni anno l’agricoltura generi 12,5 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, a cui si aggiungono clip, tutori e altri accessori.
«Le plastiche biodegradabili e compostabili permettono di ridurre il rischio ambientale e semplificare la gestione del fine vita, soprattutto quando la separazione dei materiali è complessa o il rischio di dispersione è elevato».
Bioeconomia come sistema, non solo come prodotto
A chiudere i lavori è stato Roberto Mazzei (Coldiretti), che ha collocato le esperienze presentate all’interno di una visione più ampia: «La bioeconomia è già un pezzo di realtà. Il nostro ruolo, come sistema AKIS (Agricultural Knowledge and Innovation System), è accompagnare gli agricoltori nella diffusione delle buone pratiche, dimostrando che non sempre rigenerare il suolo significa spendere di più, ma spesso produrre meglio e in modo più sano». Un messaggio ribadito anche da Falce:
«La sfida è trasformare la bioeconomia da innovazione di prodotto a pratica agricola consolidata».









