Il Regno Unito produce meno del 20% della frutta e circa la metà degli ortaggi che consuma. Il resto proviene dall’importazione. Eventi recenti come Brexit, pandemia e conflitti geopolitici hanno mostrato tutta la fragilità di questa dipendenza esterna.
Un gruppo di ricercatori, in un articolo pubblicato qualche giorno fa su Plants, People, Planet, ha fatto un censimento delle serre britanniche e stimato quanto sarebbe necessario espandere e modernizzare le strutture per raggiungere una maggiore autosufficienza alimentare.
Oltre 2mila ettari di strutture datate
La ricerca, basata sulla mappatura OpenStreetMap, ha individuato 2.085 ettari di serre (oltre 5.400 strutture rilevate) distribuiti sul territorio nazionale.
Più del 70% delle strutture ha oltre 40 anni, con limiti significativi in termini di efficienza energetica, automazione e capacità produttiva, soprattutto nei mesi invernali.

Autosufficienza: numeri e superfici necessarie
Per soddisfare il 100% della domanda interna di frutta e ortaggi coltivati in serra, servirebbero circa 18.766 ettari di nuove strutture moderne, pari a nove volte l’attuale superficie.
Un obiettivo più realistico, il 50% di autosufficienza, richiederebbe 9.383 ettari (circa quattro volte la dotazione attuale). Gli investimenti stimati oscillano fra 14 e 26 miliardi di sterline, con un ritorno atteso tra 3 e 7 anni grazie alla riduzione delle importazioni.
Per singola coltura, i fabbisogni più rilevanti riguardano:
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Fragola: 7.937 ha
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Altri piccoli frutti: 6.481 ha
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Pomodoro: 1.117 ha
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Cetriolo: 1.091 ha
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Insalate: 1.500 ha
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Peperone: 640 ha
Dove costruire: il modello multi-criterio
Per individuare le aree più adatte allo sviluppo di nuove serre, i ricercatori hanno usato un modello multi-criterio.
In pratica, si tratta di un sistema che valuta contemporaneamente parametri diversi — come ore di sole, temperature medie, rischio di alluvioni, disponibilità idrica, uso del suolo e accessibilità — per generare una mappa di “idoneità” del territorio.
Il risultato mostra che le zone più promettenti si concentrano nel sudest e nell’est dell’Inghilterra, dove le condizioni climatiche e logistiche sono favorevoli. Tuttavia, con un adeguato supporto energetico e tecnologico, la produzione in serra può estendersi anche ad altre aree.

Energia e luce fattori limitanti
Le due sfide principali secondo lo studio restano il riscaldamento e l’illuminazione durante autunno e inverno.
L’uso di Led e di vetri ad alta diffusione può aumentare le rese anche del 30-40%. Tuttavia, meno del 5% delle serre del Regno utilizza Led e oltre il 95% impiega ancora vetro tradizionale.
Un altro aspetto critico sottolineato dalla ricerca è l’Opex (operating expenditures), ovvero i costi operativi ricorrenti: energia, acqua, manutenzione e manodopera. Ridurre questi costi è cruciale per la sostenibilità economica delle serre. Soluzioni come il recupero del calore da impianti industriali, la cogenerazione o la geotermia possono abbattere l’Opex e rendere competitivi gli investimenti.
Polytunnel e glasshouse
La ricerca distingue tra due modelli serricoli:
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i polytunnel, dominanti nei piccoli frutti e nelle insalate, con costi molto contenuti (<200.000 £/ha) e che hanno la funzione di estendere la stagione produttiva;
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le serre in vetro ad alta tecnologia, con investimenti intorno a 1,5 milioni £/ha, che consentono produzioni tutto l’anno e rese superiori, ma con fabbisogni energetici più elevati.
Una strategia equilibrata dovrebbe combinare i due approcci, scegliendo la tecnologia più adatta alla coltura e al mercato di riferimento.
Politiche e leve per sbloccare investimenti
Oltre agli aspetti tecnici, il lavoro sottolinea tre leve fondamentali per attrarre capitali:
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Strumenti finanziari mirati (prestiti agevolati, modelli “lighting-as-a-service”) e pianificazione urbanistica che riconosca le serre come infrastrutture verdi essenziali.
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Appalti pubblici (ospedali, scuole) che privilegino forniture locali e programmate.
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Energia low-carbon e co-localizzazione con impianti industriali per recuperare il calore e riduzione delle emissioni.
Lo studio propone di considerare le serre come infrastrutture critiche per la sicurezza alimentare, al pari di energia e trasporti. Investimenti mirati e politiche coerenti possono ridurre la dipendenza dall’import, rafforzare la resilienza della filiera e garantire un’offerta di ortaggi freschi e disponibili tutto l’anno.