L’agricoltura per il rilancio aree interne. Dalle Marche un progetto, che unisce agricoltura e valorizzazione del territorio con l’obiettivo di offrire nuove opportunità di sviluppo per le aree interne. Il progetto è stato illustrato in un convegno ad Ascoli Piceno lo scorso maggio.
L’Italia è ricca di aree interne, soprattutto in zone montane: un vero e proprio concentrato di valori, storia, arte, cultura e tradizioni popolari. Questo patrimonio non deve andare perduto, ma diventare un motore di rinascita e sviluppo. L’obiettivo è arrestare lo spopolamento e prevenire i fenomeni legati ai cambiamenti climatici, come dimostrano i dissesti idrogeologici sempre più frequenti.
Per non perdere questo patrimonio è necessario garantire nuove opportunità di sviluppo a queste aree. Un esempio paradigmatico proviene dalle Marche, nel comprensorio piceno dei Monti Sibillini. In quest’area, già colpita da uno spopolamento in atto da tempo, si sono sommati i danni del sisma del 2016. Qui si è deciso di mettere l’agricoltura al centro dello sviluppo, con l’obiettivo di creare una filiera che, partendo dalla terra, unisca cura del territorio e turismo. In particolare si è identificato nella patata la coltura che più di altre potesse rappresentare questa identità con il territorio e veicolare questo processo di sviluppo.
Del progetto e delle sue potenzialità di sviluppo si è parlato nel convegno “la patata dei Sibillini per il rilancio delle aree interne del Piceno” tenutosi a Ascoli Piceno lo scorso 30 maggio 2025.
Un progetto che parte da lontano
Su questi presupposti nel 2015, grazie alla volontà di Alfredo Cristofori, Generale della Guardia di Finanza in pensione, originario di Montegallo, paese di 400 abitanti in provincia di Ascoli Piceno ai piedi del monte Vettore nella catena dei Sibillini, nasce Patasibilla evoluzione della prima azienda agricola La Vettorella, e dalle richieste di mercato che hanno indotto ad un aumento delle produzioni e ad un miglioramento del parco macchine aziendali. Come si evince dal nome tiene insieme la cura del territorio (il comprensorio dei Sibillini) e l’agricoltura (la patata) e associa 8 aziende agricole dei territori di Comunanza, Montefortino, Montegallo, Montemonaco. Nel 2016 ulteriore evoluzione nella società agricola Patasibilla s.r.l della quale fanno parte 13 aziende nei comuni citati e uno ciascuno in quelli di Ripe San Ginesio, e Gualdo nel maceratese.
I soggetti a vario titolo interessati al progetto sono diversi Bacino Imbrifero Montano del Tronto, Commissario Straordinario Ricostruzione Sisma 2016, Comune di Ascoli Piceno, Comune di Montegallo, Accademia dei Georgofili sezione Centro Est, Università Politecnica delle Marche.
Come sottolineato da Alfredo Cristofori, alla base del progetto c’è il concetto di multifunzionalità. L’agricoltura non deve essere considerata solo come produttrice di materie prime, ma deve integrare turismo, cultura e formazione. Con questo approccio è possibile aumentare il reddito procapite degli agricoltori, incentivare il ritorno dei giovani e contrastare lo spopolamento, integrare agricoltura e turismo attraverso l’ospitalità rurale, il turismo esperienziale, valorizzare le filiere a Km zero, favorire la trasformazione in loco delle materie prime, garantire maggiore redditività alle aziende, tutelare il territorio e il paesaggio con pratiche agricole sostenibili, che prevengano il rischio idrogeologico e preservino la biodiversità.
Chiudere la filiera
Nell’ottica di mettere al centro il territorio, oltre alla coltivazione in rotazione quadriennale di patate, legumi e cereali, che avviene per intero nel territorio dei comuni aderenti al progetto Patasibilla si sta muovendo per chiudere la filiera, da una parte con la realizzazione di un laboratorio per la produzione di prodotti quali gnocchi e carni, attività attualmente esternalizzata, e dall’altra sta dando vita alla costruzione di un birrificio agricolo, che in un processo di economia circolare utilizzi gli scarti delle produzioni.
Rafforzare la filiera locale
Naturalmente, oltre ai punti di forza e alle ambizioni che connotano il progetto, non bisogna dimenticare le possibili criticità, rappresentate dai cambiamenti climatici, con conseguenti eventi estremi e lunghi periodi di siccità accentuate dalla carenza di strutture irrigue e opere di bonifica, e dai danni da fauna selvatica. Per affrontare queste criticità e non solo sono state avviate collaborazioni con l’Università Politecnica delle Marche e sottoscritto un accordo quadro grazie al quale avviare progetti di ricerca mirati al miglioramento delle tecniche di coltivazione per una agricoltura più sostenibile, studio della biodiversità locale, nuove soluzioni per la gestione delle risorse idriche per un utilizzo più efficiente, avvio dell’attività sementiera.
L’attività portata avanti da Patasibilla e dalle aziende aderenti, come ricordato dal consulente Giorgio Altieri, trova il suo sbocco naturale nel progetto “Anno Zero Valfluvione e Tronto”. Questo progetto vede la patata dei Sibillini protagonista del rilancio delle aree interne, attraverso la creazione di un sistema sostenibile capace di unire il territorio dalla costa all’entroterra. In particolare San Benedetto del Tronto sarà sede un punto dove raccontare i prodotti dei Sibillini insieme alla pesca, ad Ascoli si creerà un intreccio tra arte e storia, a Montegallo nascerà un centro di formazione post universitario per operatori agroalimentari.
Si tratta di un progetto pilota, che rappresenta una sperimentazione realizzata attualmente lungo la vallata del Fluvione e del Tronto ma che può essere riproposto in altre aree non solo italiane ma anche all’estero. Le aziende sono localizzate nelle province di Ancona, Ascoli e Macerata con il gruppo operativo che vede al centro Patasibilla affiancata da due realtà del maceratese, Sint Tecnologie e Selfglobe.
Gli obiettivi
- Rilancio di un sistema economico che integri l’attività agricola con il turismo, che sia esperienziale e sostenibile, attraverso la produzione e la trasformazione di prodotti agricoli.
- Creazione di filiere a Km zero attraverso percorsi enogastronomici che uniscano l’entroterra con la costa, lungo i quali realizzare punti di ristoro e ritrovo che mettano in contatto produttori e turisti, con l’obiettivo di incrementare l’occupazione e la demografia di queste aree. Il gruppo operativo vede al centro Patasibilla affiancate da due realtà marchigiane, del maceratese nello specifico e da Sapori della Sibilla.
- Uno dei punti di forza del progetto è il concetto di Km zero, in grado di garantire qualità e freschezza dei prodotti oltreché la tracciabilità degli stessi, intervenire sui prezzi per abbassarli garantendo maggiori profitti ai produttori, ma anche valorizzare le tradizioni locali, rendere protagonista i produttori rafforzando i legami con i consumatori.
Ma perchè la patata?
La patata rappresenta forse il prodotto maggiormente identitario del territorio dei Sibillini, la sua coltivazione risale almeno al 1827, come dimostrano alcune fonti scritte una certa quantità di patate erano coltivate nel territorio di Comunanza per poi espandersi anche nei territori circostanti e trovare spazio sia nel consumo diretto che nella commercializzazione. Inizialmente a farla da padrona era la varietà Biancona, sostituita in seguito all’entrata in vigore del piano Marshall dalla Kennebec, perché adattabile alle caratteristiche pedoclimatiche del territorio, alle latitudini, ai periodi siccitosi e alla conservazione. Attualmente sono investiti a patata 40 ha per una produzione di 2000 – 2500 q.li
La valorizzazione di un prodotto agricolo è strettamente collegata alla necessità di una sua facile riconoscibilità da parte del consumatore, è questo il ruolo di Qualità Marche di cui si fregia la patata dei Sibillini. Ma non solo Patasibilla si è dotata anche di disciplinare di produzione interno, grazie al quale caratterizzare geograficamente l’area di produzione, garantire freschezza e genuinità, tracciabilità del processo produttivo, ecc.
Fondamentale l’accordo quadro firmato con l’Università Politecnica delle Marche per progetti di ricerca, che vanno dallo studio dei suoli, la gestione agronomica delle colture, la trasformazione dei prodotti per la creazione di un birrificio agricolo.
A chiudere la filiera, come spiegato da Attilio Aulozzi le fasi di distribuzione e di vendita in un'ottica di filiera corta, basati su percorsi enogastronomici che possano mettere in comunicazione le zone rurali e i nuclei urbani, tra l’interno e la costa da attuarsi grazie a modelli Maia. Modelli garantiti dalla sinergia tra Patasibilla, Sint Tecnologie, azienda impegnata nella produzione di strutture prefabbricate modulari per la trasformazione di prodotti alimentari e Self Globe attiva nella promozione delle aziende agroalimentari. Le soluzioni ipotizzate prevedono sia punti vendita isolati, i cosiddetti Maia Store, sia aggregati più complessi.
L’importanza della ricerca per colture sane e materiale di propagazione locale
La sostenibilità della filiera agricola passa anche dal controllo di tutti quegli agenti parassitari, patologie, ecc che possono comprometterne la produzione. Come riferito dalla Prof.ssa Paola Riolo entomologo dell’Università Politecnica delle Marche a causare i maggiori danni alla patata sono principalmente a tre insetti la Dorifora (Leptinotarsa decemlineata), gli elateridi (Agriotes) e gli afidi.
La Dorifora è un coleottero dotato di una estrema voracità, le cui larve svernano nel terreno e si spostano dagli appezzamenti dell’anno precedente, il ciclo è influenzato dalle temperature con il loro innalzamento che aumenta la velocità di riproduzione. Le larve scheletrizzano le piante e si nutrono dei tuberi.
Trattandosi di un progetto che vede nella sostenibilità uno degli aspetti principali, è necessario privilegiare il controllo integrato. Questo può essere attuato con mezzi agronomici, come rotazioni, semine precoci o ritardate, utilizzo di piante esca, mezzi fisici e meccanici. In alternativa, si può ricorrere all’impiego di nematodi o funghi.
Altra minaccia è rappresentata dagli elateridi, conosciuti più comunemente come ferretti. I danni principali sono causati dalle larve che si muovono in diverse direzioni lungo la pianta, gli adulti hanno bisogno di nutrirsi di fiori, polline, nettare per maturare le gonadi e deporre le uova. La particolarità di questa specie è rappresentata dal fatto di non essere legate ad una specifica cultura bensì al terreno. Per la cattura degli adulti vengono utilizzati trappole con attrattivi (feromoni sessuali).
Una criticità della filiera della patata è rappresentata dal materiale di propagazione, il tubero seme come dichiarato dal Prof. Luigi Ledda dell’Università Politecnica delle Marche. Materiale di propagazione che se da una parte si caratterizza per la variabilità genetica, dall’altra è fortemente vulnerabile alla trasmissione di virus, inoltre la produzione richiede ambienti idonei sotto l’aspetto pedoclimatico, che nel nostro paese sono limitati all’Alta Val Pusteria e all’Altopiano Silano, perché necessitano di isolamento rispetto a fonti di infezioni da virus. Limitazioni che determinano una dipendenza prossima al 90% da Paesi Bassi, Francia e Germania con un conseguente aumento dei costi.
Tuberi seme locali
L’obiettivo della ricerca è rivolto alla creazione di una filiera che possa permettere di disporre in loco di tuberi seme certificati, dando luogo a filiere locali. Una delle strade percorribili per raggiungere questo obiettivo è l’aeroponica: un sistema di coltivazione fuori suolo in cui alle piante viene somministrata una soluzione nutritiva nebulizzata. L’eccesso della soluzione viene poi riciclato in un sistema a ciclo chiuso.
Numerosi i vantaggi generali questo sistema, l’ottima areazione radicale, l’indipendenza da substrati, un controllo più accurato della nutrizione, risparmio di spazio. Non solo vantaggi ma anche svantaggi, la bassa riserva di acqua e nutrienti con rischi in casi di guasti, la scarsa inerzia termica e i costi elevati.
Nel caso specifico della patata da seme i vantaggi, minori danni da agenti patogeni, elevata produttività (800 minituberi/m2) risparmio di acqua e nutrienti, cicli più rapidi e frequenti, ottimale controllo genetico e sanitario.
Elemento fondamentale di questo metodo è rappresentato dal materiale di partenza, piantine micropropagate virus esenti, le cui radici vengono inserite in moduli aeroponici e crescono libere nell’area e grazie alla nebulizzazione controllata delle soluzione nutritiva, dispongono di nutrienti, temperatura e umidità ideali, con un ciclo che si completa in 60 – 90 giorni.